domenica 8 gennaio 2012

Il Luogo dell'esperienza : riflessioni sul film " Il cielo sopra Berlino"

                         Seminari su cinema e letteratura  
                                      Gennaio -Aprile 2012


"Per Jung l’angelo è un archetipo, una delle forze della vita, uno dei modi con cui l’energia si manifesta,flusso di un’intelligenza più vasta che aiuta l’uomo nel suo processo di evoluzione. E’una forza psichica potente e destrutturata che prelude a una nuova ristrutturazione della coscienza"





Il corpo è ciò che ci rappresenta, che ci definisce, che ci connette con quanto ci circonda. Le sue espressioni, i suoi sintomi, le sue manifestazioni, sono “metafore” della nostra esperienza e della nostra storia. Il corpo ci racconta.   Ciò basta per avere scelto il corpo come oggetto di riflessione per questo anno, per dedicargli cinque seminari che ne trattano diverse angolazioni e declinazioni. Perché il corpo è il nostro “esistere”, il nostro palesarci qui sulla terra, l’uno di fronte all’altro, nudi e aperti al suo sguardo. Tale premessa spiega abbondantemente credo il  perché ho scelto questo film per  iniziare un  itinerario sul corpo e sulla corporeità, chiamando questo mio intervento “Il luogo dell’esperienza”.

E’ ovvio, se non banale,  affermare che la nostra dimensione umana si “radica” nel nostro essere corpo, nel nostro sentire , dentro i confini che esso determina, dentro il tempo e il suo ciclo di nascita e morte.  E che pertanto il corpo (corruttibile)  è la sede del nostro vivere.  Eppure l’uomo è continuamente spinto a ricercare oltre se stesso e i limiti che gli sono assegnati il senso del proprio esistere. E’ portato a rivolgere al cielo le sue eterne domande, come se solo dall’alto potessero giungere risposte al grido umano di dolore e sofferenza cui siamo destinati, cercando sempre di trascendere il corpo, di superarlo, di affidarlo a una potenza superiore . Pertanto l’Angelo, in qualsiasi modo vogliamo intenderlo è sempre il rappresentante di un’ entità spirituale, cui rivolgiamo inascoltati le nostre suppliche , ma il cui contatto è impossibile,  a meno forse di affidarci a questa immagine  con gli occhi innocenti del bambino.  In altri termini, l’Angelo  è il nostro puro pensiero, l’aspetto Animus di ognuno di noi, l’archetipo di una  forza  superiore che ci aiuta a superare le difficoltà, a sostenere il peso della nostra “gravità”. In questo rapporto costante e muto tra l’essere uomo e l’aspirazione alla divinità, il film di Wenders ci propone  il punto di vista dell’angelo.

Quello che, al contrario, guarda in basso: e non solo perché è lì pronto ad aiutare chi ne ha bisogno, ma per “invidiarlo”,  per desiderarne la pesantezza, sentire i sapori della vita, gli odori, il dolore (il corpo ) .  Avrei voluto intitolare le mie riflessioni attorno a questo film ( che evidentemente può avere altre letture e ispirare altre considerazioni) come “ La nostalgia dell’angelo”  verso la vita terrena, unico modo per conoscerla   e comprenderla.

In qualunque modo si voglia leggerlo, il film allude al rapporto tra l’alto e il basso, tra l’uomo e il soprannaturale,  tra l’uomo natura e l’uomo  spirituale , nell’eterno  dialogo che l’essere umano fa con se stesso.
Wenders  lo mette in scena  nel cielo  della  Berlino della guerra fredda: una città grigia, devastata dall’angoscia di morte e dalla disperante sensazione di non avere un futuro.
Damiel e Cassiel,  i due angeli protagonisti osservano distaccati e invisibili ciò che accade nelle strade, nelle case , nelle menti della gente,  ne “ascoltano”i  pensieri , le  preoccupazioni, le  ansie.  In questo ascolto, nessun contatto è possibile, nello stare accanto a chi soffre, nessuna possibilità di aiuto è consentita: solo i bambini sembrano poterli vedere  spinti da una capacità immaginativa che li aiuta ad andare oltre.
In questa dimensione senza tempo, senza limiti di spazio e senza dolore, l’angelo però non è felice: gli manca il contatto, la possibilità di toccare l’altro, di essere visto.

Tutto il film è attraversato dalla tensione tra l’alto e il basso, nel tentativo di superare la scissione  tra il mondo dello spirito e quello della materia  che ne determina la difficoltà di comunicazione : difficoltà che riguarda la realtà intrapsichica, la sua dialettica, il suo gioco.
L'Angelo nè è l'intermediario, il messagero.
In tutta la prima parte il regista sembra permanere nella dimensione “cerebrale”, fredda e incolore del pensiero assoluto,  del Logos  : colpisce il grigio, il non-colore, la distanza tra sé e mondo, mentre  Damiel comincia a “desiderare” la condizione umana, una sorta di “invidia” o di nostalgia per quello che è la “normalità” del vivere, persino per il suo dolore.
La mancanza della dimensione corporea, della sua pesantezza, così lontana e sconosciuta per esseri di puro spirito, finisce per alimentarne  il “desiderio”, introducendo  il principio opposto: l'Eros.

Sì è magnifico vivere di solo spirito, e giorno dopo giorno testimoniare alla gente, per l'eternità, soltanto ciò che è spirituale. Ma a volte la mia eterna esistenza spirituale mi pesa. E allora non vorrei più fluttuare così, in eterno: vorrei sentire un peso dentro di me, che mi levi questa infinitezza legandomi in qualche modo alla terra, a ogni passo, a ogni colpo di vento. Vorrei poter dire: "ora", "ora", e "ora". E non più "da sempre", "in eterno". "


In una lettura junghiana, Damiel sembra personificare l’archetipo del maschile , l'Animus ancora dissociato dal suo opposto femminile, ma inesorabilmente portato a cercarlo. Il desiderio di cadere nel mondo è infatti guidato da Marion, dal femminile, dalle curve del suo corpo, dalla solitudine della sua bellezza. E’ questo che spinge sempre più il cammino di Damiel  fino a quando il desiderio di raggiungerla  diventa tanto forte da attrarlo verso il basso, abbandonando la protettività della pura essenza , fino a cadere nel mondo e nel tempo ,  ed “entrare nel piacere di amare” come dice la stessa Marion.

Il Circo, di cui Marion è l’Anima, inteso come archetipo del femminile, è esattamente il luogo dell’errare terrestre, del nomadismo, dalla instabilità per eccellenza. Non solo luogo di divertimento e di gioco , ma anche di isolamento e di tristezza. Con il circo entra in scena la  prospettiva umana , limitata dal cerchio , dalla ripetizione, dalle maschere.
Due mondi dunque: quello dell’alto e quello del basso. L’uno aperto, senza confini. L’altro circolare, rotondo, inscritto nel cerchio della ripetizione. Due mondi che sembrano irreparabilmente lontani, irrimediabilmente destinati a sfiorarsi, a incrociarsi, senza giungere mai a un vero e proprio incontro.
Altro elemento fortemente simbolico è il muro: il  muro di Berlino diventa nel film di Wenders  la barriera tra il mondo dello spirito e il mondo dell”umano: il simbolo della separazione tra  la città celeste e la  città terrestre come condizione ontologica di quella frattura  dell’essere che costituisce l'essenza di tutta la tradizione filosofica occidentale.  E’ accanto al muro che avvengono la maggior parte dei dialoghi tra i due angeli: il Muro è il confine  da superare, da valicare, quello che divide, che rende impossibile la comunicazione tra un lato e l’altro.
Ad esso è in qualche modo associato:  la corazza.  Quando i due mondi entrano in comunicazione, quando lo spirito si fa carne, la corazza che separa la vita emotiva, istintuale, da quella intellettuale cade a sua volta, La distanza protettrice che ripara la mente dalla complessità della vita affettiva.
Entrare nel corpo è entrare nel mondo del sentire, nel piacere e nel dolore.
Sono tutti evidenti  simboli della  vita intrapsichica  quelli che tratta  il regista , la rappresentazione della  trasformazione interiore che dalla scissione va verso l’integrazione delle diverse parti del Sé, polarizzate nel maschile e nel femminile, e che nell’incontro tra l’uomo e la donna trovano la complementarietà e la completezza.  E’ solo l “integrazione” nella coscienza delle parti scisse  che fa dell’uomo un Uomo, ridefinendolo come individuo con una sua storia,  come dirà alla fine il protagonista,  e che  l’Angelo ( inteso come puro pensiero o spirito)  non potrà conoscere mai .
Nel film che segue “Così vicino, così lontano” non apprezzato dalla critica quanto il primo, Wenders rende chiaro come il suo angelo sia una parte di noi, e che la “lontananza” è in realtà la non avvenuta evoluzione della nostra interiorità psichica, il non raggiungimento della totalità. Totalità che è frutto di una scelta, di un percorso interno faticoso  e di una rinunzia consapevole,  ma anche di un investimento libidico . 
Spinto da Eros ( funzione dell'Anima ) dunque, Damiel deciderà di risalire il guado del fiume  rinunziando  alla propria immortalità.  Diventerà  umano, mortale, dando inizio alla Storia : solo ora  le sue impronte saranno visibili.
Sono 4 i simboli fondamentali  attorno a cui ruota il film:  il cielo,  il circo (il cerchio),  il muro (la corazza) , il bambino ( l’innocenza, la capacità di stupirsi ).
Gli archetipi del femminile e del maschile, Animus e Anima secondo la prospettiva junghiana, qui rappresentati dal  cielo e la terra, lo spirito e la materia , sostanziano il cammino dell'angelo verso il corpo, la sua caduta nel mondo,  fino all'integrazione e alla fusione delle diverse parti in un unico essere: l'Uomo nella sua  totalità .
“E’ successo qualcosa che continua a succedere……..io ero in lei e lei era intorno a me. Chi al mondo può dire di essere stato insieme a un altro essere umano? Io sono insieme. Questa notte ho imparato a stupirmi. Mi è venuta a prendere e l’ho trovata a casa………
Solo lo stupore su di noi, lo stupore dell’uomo e della donna ha fatto di me un Uomo.
Io ora  so ciò che nessun angelo sa


Per concludere , il film propone un capovolgimento della visione più propria alla cultura occidentale, ribaltando l’aspirazione alla trascendenza e rivalutando il corpo come unica sede del nostro “essere nel mondo”. Il tema del corpo e della trascendenza non è nuovo nell’arte, soprattutto in relazione al discredito che la corporeità ha subìto in secoli di cultura  orientata a privilegiare lo spirito e la mente , secondo l’intrinseca scissione cartesiana tra rex cogitans e rex extensa.   

Wenders ne rivaluta la necessità ontologica, dando al corpo la dignità che merita e soprattutto attribuendo ad esso la vera possibilità di esperire  la vita  non solo come strumento,  ma come  spazio soggettivo entro cui  si inscrive e si palesa  la nostra identità.














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