Gennaio -Aprile 2012
"Per Jung l’angelo è un archetipo, una delle forze della vita, uno dei modi con cui l’energia si manifesta,flusso di un’intelligenza più vasta che aiuta l’uomo nel suo processo di evoluzione. E’una forza psichica potente e destrutturata che prelude a una nuova ristrutturazione della coscienza"
Il corpo è ciò che ci rappresenta, che ci definisce, che ci connette con quanto ci circonda. Le sue espressioni, i suoi sintomi, le sue manifestazioni, sono “metafore” della nostra esperienza e della nostra storia. Il corpo ci racconta. Ciò basta per avere scelto il corpo come oggetto di riflessione per questo anno, per dedicargli cinque seminari che ne trattano diverse angolazioni e declinazioni. Perché il corpo è il nostro “esistere”, il nostro palesarci qui sulla terra, l’uno di fronte all’altro, nudi e aperti al suo sguardo. Tale premessa spiega abbondantemente credo il perché ho scelto questo film per iniziare un itinerario sul corpo e sulla corporeità, chiamando questo mio intervento “Il luogo dell’esperienza”.
E’ ovvio, se non banale, affermare che la nostra dimensione umana si “radica” nel nostro essere corpo, nel nostro sentire , dentro i confini che esso determina, dentro il tempo e il suo ciclo di nascita e morte. E che pertanto il corpo (corruttibile) è la sede del nostro vivere. Eppure l’uomo è continuamente spinto a ricercare oltre se stesso e i limiti che gli sono assegnati il senso del proprio esistere. E’ portato a rivolgere al cielo le sue eterne domande, come se solo dall’alto potessero giungere risposte al grido umano di dolore e sofferenza cui siamo destinati, cercando sempre di trascendere il corpo, di superarlo, di affidarlo a una potenza superiore . Pertanto l’Angelo, in qualsiasi modo vogliamo intenderlo è sempre il rappresentante di un’ entità spirituale, cui rivolgiamo inascoltati le nostre suppliche , ma il cui contatto è impossibile, a meno forse di affidarci a questa immagine con gli occhi innocenti del bambino. In altri termini, l’Angelo è il nostro puro pensiero, l’aspetto Animus di ognuno di noi, l’archetipo di una forza superiore che ci aiuta a superare le difficoltà, a sostenere il peso della nostra “gravità”. In questo rapporto costante e muto tra l’essere uomo e l’aspirazione alla divinità, il film di Wenders ci propone il punto di vista dell’angelo.
Quello che, al contrario, guarda in basso: e non solo perché è lì pronto ad aiutare chi ne ha bisogno, ma per “invidiarlo”, per desiderarne la pesantezza, sentire i sapori della vita, gli odori, il dolore (il corpo ) . Avrei voluto intitolare le mie riflessioni attorno a questo film ( che evidentemente può avere altre letture e ispirare altre considerazioni) come “ La nostalgia dell’angelo” verso la vita terrena, unico modo per conoscerla e comprenderla.
In qualunque modo si voglia leggerlo, il film allude al rapporto tra l’alto e il basso, tra l’uomo e il soprannaturale, tra l’uomo natura e l’uomo spirituale , nell’eterno dialogo che l’essere umano fa con se stesso.
Wenders lo mette in scena nel cielo della Berlino della guerra fredda: una città grigia, devastata dall’angoscia di morte e dalla disperante sensazione di non avere un futuro. Damiel e Cassiel, i due angeli protagonisti osservano distaccati e invisibili ciò che accade nelle strade, nelle case , nelle menti della gente, ne “ascoltano”i pensieri , le preoccupazioni, le ansie. In questo ascolto, nessun contatto è possibile, nello stare accanto a chi soffre, nessuna possibilità di aiuto è consentita: solo i bambini sembrano poterli vedere spinti da una capacità immaginativa che li aiuta ad andare oltre.
In questa dimensione senza tempo, senza limiti di spazio e senza dolore, l’angelo però non è felice: gli manca il contatto, la possibilità di toccare l’altro, di essere visto.
Tutto il film è attraversato dalla tensione tra l’alto e il basso, nel tentativo di superare la scissione tra il mondo dello spirito e quello della materia che ne determina la difficoltà di comunicazione : difficoltà che riguarda la realtà intrapsichica, la sua dialettica, il suo gioco.
L'Angelo nè è l'intermediario, il messagero.
In tutta la prima parte il regista sembra permanere nella dimensione “cerebrale”, fredda e incolore del pensiero assoluto, del Logos : colpisce il grigio, il non-colore, la distanza tra sé e mondo, mentre Damiel comincia a “desiderare” la condizione umana, una sorta di “invidia” o di nostalgia per quello che è la “normalità” del vivere, persino per il suo dolore.L'Angelo nè è l'intermediario, il messagero.
La mancanza della dimensione corporea, della sua pesantezza, così lontana e sconosciuta per esseri di puro spirito, finisce per alimentarne il “desiderio”, introducendo il principio opposto: l'Eros.
In una lettura junghiana, Damiel sembra personificare l’archetipo del maschile , l'Animus ancora dissociato dal suo opposto femminile, ma inesorabilmente portato a cercarlo. Il desiderio di cadere nel mondo è infatti guidato da Marion, dal femminile, dalle curve del suo corpo, dalla solitudine della sua bellezza. E’ questo che spinge sempre più il cammino di Damiel fino a quando il desiderio di raggiungerla diventa tanto forte da attrarlo verso il basso, abbandonando la protettività della pura essenza , fino a cadere nel mondo e nel tempo , ed “entrare nel piacere di amare” come dice la stessa Marion.
Il Circo, di cui Marion è l’Anima, inteso come archetipo del femminile, è esattamente il luogo dell’errare terrestre, del nomadismo, dalla instabilità per eccellenza. Non solo luogo di divertimento e di gioco , ma anche di isolamento e di tristezza. Con il circo entra in scena la prospettiva umana , limitata dal cerchio , dalla ripetizione, dalle maschere.
Due mondi dunque: quello dell’alto e quello del basso. L’uno aperto, senza confini. L’altro circolare, rotondo, inscritto nel cerchio della ripetizione. Due mondi che sembrano irreparabilmente lontani, irrimediabilmente destinati a sfiorarsi, a incrociarsi, senza giungere mai a un vero e proprio incontro.
Altro elemento fortemente simbolico è il muro: il muro di Berlino diventa nel film di Wenders la barriera tra il mondo dello spirito e il mondo dell”umano: il simbolo della separazione tra la città celeste e la città terrestre come condizione ontologica di quella frattura dell’essere che costituisce l'essenza di tutta la tradizione filosofica occidentale. E’ accanto al muro che avvengono la maggior parte dei dialoghi tra i due angeli: il Muro è il confine da superare, da valicare, quello che divide, che rende impossibile la comunicazione tra un lato e l’altro.
Ad esso è in qualche modo associato: la corazza. Quando i due mondi entrano in comunicazione, quando lo spirito si fa carne, la corazza che separa la vita emotiva, istintuale, da quella intellettuale cade a sua volta, La distanza protettrice che ripara la mente dalla complessità della vita affettiva.
Entrare nel corpo è entrare nel mondo del sentire, nel piacere e nel dolore.
Sono tutti evidenti simboli della vita intrapsichica quelli che tratta il regista , la rappresentazione della trasformazione interiore che dalla scissione va verso l’integrazione delle diverse parti del Sé, polarizzate nel maschile e nel femminile, e che nell’incontro tra l’uomo e la donna trovano la complementarietà e la completezza. E’ solo l “integrazione” nella coscienza delle parti scisse che fa dell’uomo un Uomo, ridefinendolo come individuo con una sua storia, come dirà alla fine il protagonista, e che l’Angelo ( inteso come puro pensiero o spirito) non potrà conoscere mai .
Nel film che segue “Così vicino, così lontano” non apprezzato dalla critica quanto il primo, Wenders rende chiaro come il suo angelo sia una parte di noi, e che la “lontananza” è in realtà la non avvenuta evoluzione della nostra interiorità psichica, il non raggiungimento della totalità. Totalità che è frutto di una scelta, di un percorso interno faticoso e di una rinunzia consapevole, ma anche di un investimento libidico .
Spinto da Eros ( funzione dell'Anima ) dunque, Damiel deciderà di risalire il guado del fiume rinunziando alla propria immortalità. Diventerà umano, mortale, dando inizio alla Storia : solo ora le sue impronte saranno visibili.
Spinto da Eros ( funzione dell'Anima ) dunque, Damiel deciderà di risalire il guado del fiume rinunziando alla propria immortalità. Diventerà umano, mortale, dando inizio alla Storia : solo ora le sue impronte saranno visibili.
Sono 4 i simboli fondamentali attorno a cui ruota il film: il cielo, il circo (il cerchio), il muro (la corazza) , il bambino ( l’innocenza, la capacità di stupirsi ).
Gli archetipi del femminile e del maschile, Animus e Anima secondo la prospettiva junghiana, qui rappresentati dal cielo e la terra, lo spirito e la materia , sostanziano il cammino dell'angelo verso il corpo, la sua caduta nel mondo, fino all'integrazione e alla fusione delle diverse parti in un unico essere: l'Uomo nella sua totalità .
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Solo lo stupore su di noi, lo stupore dell’uomo e della donna ha fatto di me un Uomo.
Io ora so ciò che nessun angelo sa”
Io ora so ciò che nessun angelo sa”
Per concludere , il film propone un capovolgimento della visione più propria alla cultura occidentale, ribaltando l’aspirazione alla trascendenza e rivalutando il corpo come unica sede del nostro “essere nel mondo”. Il tema del corpo e della trascendenza non è nuovo nell’arte, soprattutto in relazione al discredito che la corporeità ha subìto in secoli di cultura orientata a privilegiare lo spirito e la mente , secondo l’intrinseca scissione cartesiana tra rex cogitans e rex extensa.
Wenders ne rivaluta la necessità ontologica, dando al corpo la dignità che merita e soprattutto attribuendo ad esso la vera possibilità di esperire la vita non solo come strumento, ma come spazio soggettivo entro cui si inscrive e si palesa la nostra identità.
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