sabato 6 ottobre 2012

3. 4. 5 Ottobre 2012 “Verso una medicina capace di ascoltare"


Riflessioni sul “malessere organizzativo”

Anche la seconda edizione del corso di formazione per operatori sanitari di cui sono stata organizzatrice e direttore scientifico presso l’Azienda Ospedaliera  ARNAS Garibaldi di Catania si è conclusa con notevole apprezzamento da parte dei partecipanti. Ancora una volta mi sembra inevitabile soffermarmi a fare alcune considerazioni su quanto è avvenuto nei tre giorni di lavoro, sottolineandone la diversità rispetto a quanto avvenuto nella prima edizione.
L’organizzazione del corso aveva inteso dividere gli argomenti articolandoli su due aree precise : una prima area o sessione tesa ad  esplorare le problematiche più usuali per la pratica medica, considerate però da una prospettiva psicologica e indicando pertanto una riflessione  analiticamente approfondita riguardo a contenuti come la comunicazione della cattiva notizia, o l’accompagnamento nella terminalità o  la modalità di effettuare un triage attento anche alla dimensione psichica e non soltanto strettamente medica . La seconda sessione, più vasta rispetto alla prima anche in termini di tempi, ha voluto invece dedicare la sua analisi all’assetto organizzativo, al clima ambientale e al contesto entro il quale ordinariamente si svolge l’attività medica di “cura”.
Entrambe le sessioni prevedevano una parte esperienziale e pratica su quanto teoricamente esposto.
Lo scarto tra la prima giornata, inerente la dimensione clinica, e le altre due inerenti la dimensione organizzativa, che nella prima edizione aveva avuto una funzione catartica rispetto alle tensioni emotive  esplicitate nella dimensione clinica, in questa seconda esperienza si è posta da subito come spazio estraneo  e poco interessante,  come se l’organizzazione  riguardasse in ogni caso “gli altri” e non in qualche modo testo nel quale inscrivere il proprio contributo individuale. Se questo era nella coscienza del gruppo il sentimento circolante, tuttavia lo stesso non si sottraeva in alcun modo ai “compiti” proposti riuscendo a portare a compimento quello che dichiaratamente credevano di non poter sapere fare. E’ attraverso questo gioco di negazione e partecipazione, di malcelate manifestazioni di malcontento, che il gruppo ha messo progressivamente  fuori non soltanto l’evidente malessere vissuto quotidianamente  nel proprio ambiente di lavoro, ma il  bisogno di entrare  di più a comprenderne le dinamiche per potersi  fare parte attiva nei processi decisionali, nella definizione delle regole e in quant’altro possa riguardare  la propria parte nell’insieme. Certo ne deriva lo scoraggiamento circa l’impossibilità di modificare tout court la cultura organizzativa radicata nel nostro paese, ma forse la consapevolezza (anche questa antica)  che il silenzio e la delega servono solo a rafforzarla  può essere la spinta a cambiare qualcosa nella cultura dell’operatore che, con più dignità e coscienza, può sentirsi parte di un organismo vivo e in continuo cambiamento, piuttosto che di una macchina  vecchia e malfunzionante. In ultimo, oltre alla precisa richiesta di ulteriori momenti formativi che lavorino in tal senso, è emersa con chiarezza  la necessità di una  cura  adeguata per venir fuori dal malessere  condiviso dagli operatori sanitari dell’azienda, dove il narrare e il raccontare diventa strumento di cambiamento e che in questo piccolo, ma ricco,  momento formativo si è  avuta occasione di fare.

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