domenica 30 giugno 2013

La molteplice visione del film. Il cinema come terapia collettiva.

Intervento presentato al X Seminario internazionale del CISAT, Istituto degli studi filosofici di Napoli 28-30 Giugno 2013


Ringrazio il Prof Pasanisi, e tutto il consiglio direttivo del Cisat per avere accolto la mia richiesta di partecipazione  a questo importante convegno. Il mio contributo a questo incontro è il racconto di un’esperienza maturata nel corso di quattro anni insieme al gruppo della mia giovane associazione. Il racconto di un viaggio nel territorio siciliano dove abito per portare riflessione e pensiero in contesti a portata di mano, a portata di gente. Come scriveva Hillman in Re-visione della psicologia:

 "La terapia, o l'analisi, non è solo qualcosa che gli analisti fanno ai pazienti, essa è un processo che si svolge in modo intermittente nella nostra individuale esplorazione dell'anima, negli sforzi per capire le nostre complessità, negli attacchi critici, nelle prescrizioni e negli incoraggiamenti che rivolgiamo a noi stessi. Nella misura in cui siamo impegnati a fare anima, siamo tutti, ininterrottamente, in terapia."  

Convinta dunque che è necessaria una terapia delle idee e non soltanto quella dentro gli studi, è partito questo progetto.

 

La molteplice visione del film: il cinema come terapia collettiva.

Nel 2009, insieme a un gruppo di giovani colleghi, a un artista e a una imprenditrice, e sotto l’impulso di una immagine di Bellezza che la sottoscritta aveva particolarmente avvertito , è nata l’Associazione ContAnimare che ancora ho il piacere di guidare. Lo spirito iniziale era quindi ispirato dalla dea Afrodite e le intenzioni,  dichiarate già nello statuto , quelle di mettere insieme arte e visione psicologica, contaminando  con il sapere psicologico quello che via via avremmo deciso di affrontare,  approfondire, o realizzare. Fin dalla prima stagione, una particolare attenzione è stata dedicata all’arte cinematografica. Da alcuni anni la sottoscritta si dilettava a recensire  film con contenuti particolarmente stimolanti e significativi rifacendosi al pensiero psicologico di matrice junghiana e hillmaniana.  Nella convinzione che l’arte cinematografica sia oggi la più adatta a raggiungere con immediatezza la collettività sociale, a indurla a riflettere sui grandi temi che agitano la vita umana e sulle problematiche della contemporaneità; in un epoca in cui l’immagine ha un posto fondamentale  (la società dell’immagine per l’appunto ) per le comunicazioni, la cultura, lo spettacolo , e molto altro,  il linguaggio cinematografico non può che essere privilegiato rispetto ad altri linguaggi artistici proprio per il suo intreccio di immagine, movimento, commento musicale, testo. Questa pluralità di stimoli percettivi rende possibile la “riproduzione” del reale in modo immediato e facilmente fruibile, rendendo il linguaggio cinematografico il più adatto a  catalizzare l’attenzione dello spettatore attraverso i processi di identificazione, proiezione, emulazione,  poggiando su un immenso potenziale emotivo  in grado di agire a diversi livelli, anche in modo subliminale, sulla  sfera intellettiva, emozionale, razionale . Con questa idea di fondo, già dal primo anno, abbiamo elaborato l’idea di proporre la visione di alcuni film in contesti diversi da quello convenzionale, con l’intenzione di favorire lo scambio tra gli spettatori anche durante la visione liberandolo dalla normale fissità, silenziosità, oscurità che una sala cinematografica  richiede. Così abbiamo deciso di portarlo in enoteca, puntando anche su un altro obiettivo: quello di attrarre maggiormente la partecipazione dei giovani, oggi più propensi a guardare un film in tv o al computer , magari tra amici,  piuttosto che  chiudersi nel buio di una sala cinematografica, in silenzio e immobili. In più, in enoteca, era ragionevole pensare che mentre si guardava il film si potesse avere piacevolmente un bicchiere di vino tra le mani.  Visione e vino” è il titolo di questa prima stagione dell’associazione ContAnimare con la quale ebbe inizio il “viaggio” in questa esperienza con il cinema fuori dalle sale e in un contesto più colloquiale e interattivo di quello usuale.

 Così abbiamo immaginato e proposto i film del primo ciclo:

“Il film, le sue immagini, i suoni che le accompagnano, sono visioni che nel buio di una sala cinematografica producono una elaborazione solitaria, spesso incomunicabile, fondamentalmente silenziosa. Un film con un bicchiere in mano altera il rapporto tra immagine e pensiero. Interrompe la linearità del processo mentale, lo disturba. Cambia il setting e con esso la relazione che si produce. L’emozione può comunicarsi, il senso può essere discusso, il significato ri-pensato insieme ad altri. Cambiando il contesto , cambia la visione: forse sarà con-fusione o un altro film, vissuto, bevuto, e-laborato. I film che abbiamo scelto per questo contesto “altro” portano in circolo tematiche attuali, complesse situazioni del nostro mondo e del nostro sociale, ma lo fanno con una sfumatura di ironia che rende leggere le problematiche pesanti che li attraversa, come fa il vino quando riesce a distendere i problemi che ci assillano. Sarà un occasione per rileggerli insieme, cogliendo con occhio psicologico la realtà che sta dietro ogni immaginazione, coinvolgendoci come

i più diretti protagonisti”.

 I film scelti per questa prima , nuova esperienza , obbedivano a una precisa logica : quella di turbare le idee preconcette e acquisite su tutto quanto riguardasse la sessualità, l’amore, l’omosessualità, le relazioni. Il viaggio, metaforizzato dal film Il treno per il Daijrling era un invito a lasciare andare qualunque idea stereotipata e “barocca” (studiata, ricercata) delle cose e lasciarsi andare al flusso degli accadimenti. La metafora portante del film era quella che “anche un treno si può perdere”, come a dire che anche i binari sui quali si crede di orientarsi , ai punti di riferimento sui quali ci si poggia, a un certo punto si confondono , si smarriscono .

Era inconsapevolmente ciò che sarebbe accaduto a noi stessi.

Alla fine di questo primo ciclo, ci rendemmo conto che , senza volerlo, avevamo  tracciato un disegno preciso e significativo che portava direttamente ad una riflessione profonda sul senso delle relazioni affettive, tra i nuclei più problematici delle stesse, tra le contraddizioni che il rapporto con il mondo circostante ci obbliga di affrontare nel cammino per diventare ciò che siamo. Insomma eravamo nel vivo di un processo di individuazione che il nostro stesso gruppo stava iniziando.  

Da questo primo muoverci, un po’ a tentoni, un po’ consapevoli, l’anno successivo avevamo più chiarezza su cosa volevamo esplorare e su quali opere cinematografiche fondare il secondo ciclo di incontro. Essendo tutto in movimento abbiamo intitolato la seconda stagione della nostra associazione “Flussi migranti” e deciso di portare le proiezioni  in libreria con il titolo   Relazioni difficili.

La  tematica scelta nasceva per evidente consequenzialità da ciò che avevamo dibattuto l’anno precedente. Dopo l’enoteca e l’atteggiamento “liquido”, instabile ed estemporaneo di Visione e Vino, la libreria ci sembrò più adatta per discutere con più attenzione i film scelti , decisamente più pesanti, e per “strutturare” una forma laboratoriale  ed elaborativa della visione di un film. Altra innovazione che da quel secondo ciclo abbiamo mantenuto, è stato quello di riintitolare il film, secondo il nucleo interpretativo che avremmo voluto sviluppare.  Cominciammo con Festen per elaborare La fantasia della buona famiglia, continuando con l’inquietante Elephant e la necessità di porsi Al di là del bene e del male per potere anche solo sfiorare i malesseri e i disagi dell’adolescenza. Seguirono le riflessioni sui rapporti d’amicizia, sulle delusioni amorose, la solitudine,  il contatto con la morte, il confronto con le tematiche dell’immigrazione.

 Lo presentammo così:

Flussi migranti è il titolo che la nostra associazione ha voluto dare a questa prossima stagione di proposte ed eventi. Migranti non solo e non tanto perché gli stessi si muovono in spazi e contesti sempre diversi, ma perché l’intenzione che sta alla base del loro flusso è quello di contaminare i territori dove passano, disseminando idee e immagini capaci di colpire, destabilizzare, alterare gli stati di coscienza più usuali e consolidati per farne materiale tras-formato. Una sorta di riciclaggio di stereotipie e preconcetti che stanno alla base delle nostre finte certezze. L’obiettivo quindi non è semplicemente alimentare il rito collettivo del far qualcosa per spezzare la monotonia quotidiana, quanto quella di inquietarla, costringendoci a ripensarla. La prima di queste infiltrazioni mentali è la rassegna cinematografica che parte il 14 Novembre alla Libreria Mondadori , dove si svolgeranno sei incontri su un tema piuttosto banale a prima vista, quello delle “Relazioni difficili”, di cui tutti più o meno siamo, o siamo stati, registi e attori , attraverso sei film scelti nella produzione di circa un decennio (dal 1998 al 2009). E poiché la relazione è la realtà che ci è più propria fin dalla nostra nascita, comprendendo in essa tutti gli aspetti che connotano il nostro “essere nel mondo”, le opere che abbiamo scelto porteranno in scena la difficoltà di questo esistere qui e ora come lì e allora, tra le nostre necessità e le nostre aspirazioni, tra i nostri obblighi e i nostri desideri, tra la pesantezza del nostro corpo che ci lega e la leggerezza del nostro pensiero il cui unico scopo è liberarsi da ciò che lo vincola. Ancora una volta, abbiamo scelto il linguaggio cinematografico come quello più adeguato per leggerne il significato tra le righe, il più duttile per farne elemento di elaborazione collettiva fornendo alla mente con immediatezza tre stimoli percettivi fondamentali a suscitare significativi impatti emotivi: l’immagine, la parola, la musica. A questi rivolgeremo una particolare attenzione nel prossimo evento.

 Partendo dalla disastrosa riunione familiare di Festen nel chiuso di una dimensione alto borghese, e concludendo con il respiro del mare della disperata traversata di Welcome, la problematica del rapporto con l’Altro è stata affrontata a tutto campo, attraversandone ogni confine, ogni terribile testimonianza.
Le immagini, feroci, della complessità dei rapporti umani hanno saputo legare insieme il gruppo dei partecipanti che , lentamente, si sono ritrovati insieme a leggere un testo nel quale tutti si riconoscono e si trovano coinvolti, così iniziando  a interagire e confrontarsi: insomma a fare relazione.
Con questo secondo ciclo, il gruppo, che nell’anno precedente rimaneva ancora piccola folla, pur restando sempre aperto e quindi in ogni caso variabile,  si riusciva a compattare  in un nucleo stabile, pur con le inevitabili variazioni ad ogni incontro, ma contemporaneamente crescendo il senso dello stare insieme, del coinvolgimento emozionale che in precedenza rimaneva più ancorato al giudizio di ordine etico, estetico, intellettuale, raziocinante. Il gruppo insomma in questo secondo anno ha cominciato a fare “anima” come avrebbe detto Hillman  cominciando  anche a strutturarsi come corpo collettivo, o quanto meno gruppale.  

E poiché la prima relazione è con il corpo che ognuno di noi abita, ecco già delinearsi la tematica dell’anno successivo che infatti abbiamo  dedicato al corpo.

Metafore del corpo è stato il titolo della stagione dell’anno 2011/2012 e attorno alla corporeità abbiamo costruito , credo, il passaggio più fondamentale e fondante dell’intero itinerario che , gradualmente,  si era consolidato ed evoluto in seno al gruppo dei partecipanti.

Ecco come Laura Nicosia,  socia ordinaria di ContAnimare, psicoterapeuta espressiva in formazione,  ha presentato il nuovo ciclo di seminari:

 Il corpo è un incontro che coniuga ispirazione ed esperienza, contingenza e storia.

E' la mappa sulla quale l'Altro ha lasciato le sue orme e lanciato le sue grida e può esistere solo se abbiamo permesso che queste orme e queste grida lo attraversassero. In questo senso il corpo è qualcosa che può fare sorpresa, la stessa sorpresa che viene dall'impatto con l'enigma che lo abita. Ed è la stessa sorpresa che accogliamo attraverso l'amore, il desiderio, la sessualità, la creazione artistica...eventi che consentono di accedere alla possibilità di "avere" un corpo, di "farsi corpo".

E il corpo umano è al tempo stesso qualcosa del quale è possibile parlare e un corpo parlante, cioè abitato dal linguaggio, non assoggettato al suo puro funzionamento biologico, ma un corpo toccato dalla discontinuità, da segni che vanno al di là dell'unità biologica. Del resto più la parola si eclissa e più sul corpo proliferano i segni di ciò che rimane impronunciato, ma non per questo smette di parlare. Anche i sintomi contemporanei testimoniano la discontinuità introdotta nel corpo umano dal potere del linguaggio e dalla sua azione di cui il sintomo si fa indice. Si parla di sintomo come di metafora, metafora del corpo, corpo che viene segnato dal soggetto che vi appone la sua firma e che con questo atto lo rende il destinatario dello sguardo dell'Altro desiderante oltre che dell'identificazione con il proprio essere.

E la ricerca della felicità tenta di consumarsi oggi più che mai attraverso il proprio corpo, nell'immagine perfetta che ci facciamo del nostro corpo, il quale diventa quasi senza tempo se vogliamo affidarci affannosamente alle più estreme cure e modificazioni estetiche, tentando di neutralizzare la minaccia dell'invecchiamento.

Ogni "metafora" del corpo dà voce, per sostituzione, al piacere e al dramma umano e il ciclo di seminari proposto invita ad una riflessione sul senso e sul "peso" che questo tipo di linguaggio metaforico assume di fronte al tentativo euristico di spiegare la natura umana.

I seminari affronteranno i temi descritti attraverso scene tratte da opere   cinematografiche  di W. Wenders, L.Bunuel,  J.Campion, T.Ford, I.Coixet ed altri.


Questa volta abbiamo cambiato un po’ la struttura degli incontri, affidando la lettura di ogni film a un relatore diverso e di diverso orientamento,  non solo psicologico , proprio per dare un carattere di interdisciplinarietà ai commenti e valorizzare la diversità delle prospettive.

Il luogo scelto questo volta è stato una biblioteca. Luogo che ha segnato un altro passaggio nella nostra opera di contaminazione e dove il contesto (più silenzioso e riflessivo) ha favorito l’emergere delle reazioni emotive che non sono state più la somma o l’ accostamento di quelle individuali, ma la reazione di un corpo-gruppo unico, finalmente gruppo  e non soltanto estemporaneo momento di  incontro.  Il passaggio in questo senso ha con ogni evidenza lasciato l’aspetto culturale per entrare, in punta di piedi, ma in modo molto potente, in quello terapeutico.

Non solo il gruppo si consolidava , ma, ad un altro livello, si sostanziava e si definiva il carattere e l’identità della nostra associazione. Il processo di individuazione, che attraverso le immagini , i dibattiti, gli incontri si era alimentato e sostenuto lungo questo tragitto, ci aveva reso più maturi, più consapevoli, dandoci la capacità di poterci affermare sul territorio della nostra città in modo riconoscibile e pieno.

Inoltre, era stata così potente e coinvolgente l’esperienza precedente che senza troppo pensarci abbiamo dedicato al Potere e alle sue innumerevoli facce il nuovo ciclo, partendo proprio dal potere delle immagini:  quel potere che ci avevano condotto fin là.

E allora ecco nascere il nuovo progetto, l’ultimo , cui abbiamo dato il titolo de Le anomalie del Potere.

Partendo da un incontro introduttivo questa volta sul potere delle immagini e i suoi confini, a cura del prof. Sebastiano Mangiameli, esperto in comunicazione, ci siamo inoltrati nei territori del Potere inteso come:   potenzialità. Non il fare, ma la capacità di fare ( Hillman ) e quindi come possibilità inerente l’essere umano, individuale e collettivo. Con questa premessa abbiamo esaminato come questa possibilità sia una “scelta”, agita attraverso la violenza e la forza,  con la premeditazione vendicativa e la manipolazione, attraverso la passione amorosa e la persuasione.

Da Arancia meccanica al Discorso del Re, il potere ha prestato la sua faccia per sollecitare  innumerevoli riflessioni, approfondimenti. Abbiamo considerato come esso sia il luogo dell’affermazione personale, del sopruso, della follia.

Citando ancora  Hillman, esso spunta da ogni parte  :  è il contenuto più frequente di ogni nostro discorso o determinazione,  progetto o idea.  Abbiamo voluto, attraverso questo percorso cinematografico, soffermarci in particolare sui risvolti più inediti del potere , sulla sua faccia oscura, insistendo su quelle anomalie che sempre lo accompagnano , spesso spia di grandi fragilità psichiche e di grandi contraddizioni sociali.

 
Concludendo questo reportage, voglio sottolineare come , partendo un po’ alla cieca ma con l’intenzione di utilizzare il linguaggio cinematografico come mezzo se non strettamente terapeutico, certamente come strumento di comunicazione per  “ripensare”  i grandi temi dell’uomo,  affrontando le tematiche proposte attraverso diverse chiavi di lettura ,  siamo riusciti non solo a veicolare attraverso le immagini messaggi particolarmente significativi, ma anche a  strutturare nel tempo dei quattro anni qui sintetizzati,  un’esperienza collettiva aperta, dal grande valore culturale e sociale, ma anche , in definitiva , terapeutica. Se l’Arte infatti ha come suo obiettivo quello di ribaltare la realtà quotidiana, di aprire a nuove visioni, scardinando pregiudizi e luoghi comuni, il linguaggio cinematografico attraverso i l film scelti ha senz’altro aderito a questa funzione e “creato” una nuova pagina –piccola-  nella storia del contesto catanese , agendo  come luogo di “trasformazione” individuale, collettiva e sociale .

A questa finalità ci siamo avvicinati,  dando luogo ad un processo creativo che ha  lasciato una traccia non soltanto in tutti i partecipanti, ma anche nella affermazione della nostra identità associativa, che ha scelto l’Arte per attivare immagini archetipiche profonde e mezzo comunicativo ideale per parlare con tutti.

Lilia Di Rosa