lunedì 17 febbraio 2014

Dallas Buyers Club, 2013

del regista Jean-Marc Vallée

 

Il film torna indietro di circa trenta anni, riprendendo un dei periodi più bui dal punto di vista sociale e  sanitario, cioè quando l’Aids, al suo primo apparire,  comincia a  mietere non solo vite  di giovani e meno giovani, ma a fare vittime sociali: omosessuali e tossicodipendenti. Il film, ambientato in Texas, non si allontana molto da quello che accadde un po’ in tutto il mondo cattolico, quando l’infezione da Hiv venne considerata la punizione per i viziosi del sesso (fica dipendenti come si autoidentifica il protagonista) e ai dipendenti dal buco: gli eroinomani in particolare. 
La peste del secolo, come allora venne chiamata, esplose improvvisamente nei reparti ospedalieri, mettendo in crisi i medici  e i primi tentativi di arrestarne il corso attraverso cure inadeguate ed insufficienti, mentre si diffondeva la sperimentazione dell’AZT: primo farmaco che tentava di ricostruire il patrimonio immunitario  attaccato dal virus, ma esso stesso non privo di pesanti effetti collaterali. Il protagonista è qui  il prototipo eterosessuale del vizio estremo: alcool, droghe e donne. Incurante di qualsiasi divieto, macho ed arrogante,   sprezzante verso ogni forma di debolezza fin quando , con molta incredulità,  vede seriamente minacciata  la propria esistenza da un  medico che  gli diagnostica l’infezione dal virus Hiv e la previsione di  trenta giorni di vita.  Irridente all’inizio, pur essendo già emaciato e sofferente , finisce per capire di essere giunto alla sua fine  e a volerla ritardare ad ogni costo. Comincia così la sua battaglia per la vita , creando un lucrativo quanto illegale commercio di farmaci alternativi  per sé stesso e per chi si trova nella sua stessa situazione, che ha tutto il sapore del proselitismo religioso  e della ricerca della “salvezza”. Di fatto Ron avvicina tutto quello che in precedenza aveva odiato, modificando i propri atteggiamenti di disprezzo fino a divenire amico di  un transgener anch’esso ammalato che, malgrado tutto,  morirà prima di lui.  A parte l’innegabile bravura dei due protagonisti principali, il film insiste eccessivamente sul business che ne deriva, ma ha il pregio di riaccostare il grande pubblico alla malattia da HIV che negli ultimi anni sembra dimenticata, soprattutto riprendendone le tematiche dell’omofobia e delle resistenze ad accettarla. La storia vera che il regista mette in scena ripercorre la storia spietata della malattia al suo inizio,  la disperazione che afferrava chi risultava positivo al test, il clima di intolleranza che la accompagnava .
 
Ogni tanto è doveroso ricordarlo.

 

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