giovedì 15 maggio 2014

L’Io contemporaneo e la negazione


                                                       Questo giorno medesimo ti darà la vita e la morte

                                                                                                                            Tiresia

 

Partiamo da Freud: nel suo  modello  l’Io è la sede della vita cosciente, un centro di elaborazione tra le pulsioni più primitive derivanti dalla parte istintuale di ogni individuo e le richieste etiche e sociali provenienti dall’esterno ed interiorizzate nel Super Io. Nella teoria di Freud l’Io  è quindi un luogo di filtro tra ciò che è compatibile con la propria struttura e ciò che non lo è. Per mantenere stabile la costruzione del mondo che l’Io si dà nel suo processo di evoluzione è necessario un sistema di difesa in funzione del proprio mantenimento ed equilibrio. In tal senso agiscono i meccanismi di difesa che svolgono funzione adattativa tra interno ed esterno con la finalità di garantirne un  adattamento il più possibile soddisfacente. Tra i diversi meccanismi di cui l’Io si serve,   intendo occuparmi in questo scritto di quello della negazione o, come vedremo meglio, del diniego, che è senz’altro oggi il più diffuso sia a livello individuale che collettivo. Nell’uso freudiano si possono distinguere due diverse accezioni del termine negazione. La prima , verneinung, ha il significato di negazione in senso linguistico e letterale. La seconda, o Verleugnen , rimanda al rifiuto della percezione di un fatto che si impone nel mondo esterno assumendo il significato di diniego o di smentita. Ma il punto più significativo della tesi freudiana è la sua interrelazione con il rimosso, come emerge dalle seguenti affermazioni:

1) “La negazione è un modo di prendere conoscenza del rimosso”:

2) “Con l'aiuto della negazione viene annullata soltanto una conseguenza del processo di rimozione, quella per cui il contenuto della rappresentazione interessata non giunge alla coscienza. Ne risulta una sorta di accettazione intellettuale del rimosso, pur persistendo l'essenziale nella rimozione”;

3) “Mediante il simbolo della negazione il pensiero si affranca dai limiti della rimozione”.

Partendo da questa premessa , torno a riflettere sulla realtà contemporanea alle prese con la rimozione della morte e  con la negazione di tutto quello che la riporta alla coscienza.   

Un tempo la consapevolezza della morte e la ricerca della salvezza era affidata a rituali e sistemi religiosi, mentre oggi ci si affida al progresso scientifico e alla medicina. La massiccia delega agli ospedali, ai medici, alle terapie rende pertanto  molto difficile nella società  contemporanea restare in contatto con il morente o assistere con i propri occhi al trapasso, tanto che è molto più semplice rispetto al passato dimenticare che esiste un limite invalicabile per il quale il progresso è chiamato a dare una risposta, sempre e comunque. Il rifiuto della mortalità viene pertanto sostenuto con tutti gli strumenti  a disposizione (cure palliative, trattamenti inefficaci, interventi di tecnologia avanzata): metodi preziosi  per rimandare il più possibile l’evidenza di  questa realtà, alla quale oggi non ci si prepara ma, al contrario, ostinatamente si nega. Ci si comporta infatti come se non esistesse, come se nella visione contemporanea del controllo e dell’efficienza  essa non avesse un posto, ma fosse piuttosto respinta ai margini  della coscienza dove  la sua inevitabilità viene continuamente ricacciata indietro. Non stupisce pertanto che questo atteggiamento faccia sentire maggiormente le sue conseguenze in prossimità dell’esperienza diretta di una malattia o della perdita o della morte, quando cioè la sua realtà fino a quel momento tenuta lontana torna ad approssimarsi. E’ in questo momento che il diniego si fa più sconcertante ed ostinato, non concedendo all’individuo la possibilità di accostarsi all’esperienza con i mezzi più adatti. La paura del dolore, della separazione e della perdita è infatti nella nostra società evitata con ogni mezzo, spesso con l’accanimento che nell’aggettivo “terapeutico”  giustifica l’agire medico alle prese con situazioni difficili e con la propria altrettanta impreparazione ad affrontare la verità.
Ma non è solo la morte ad essere rinnegata nel mondo contemporaneo. Al contrario essa è felicemente accompagnata da un corteo di situazioni ad essa collegate che insieme si sostengono, contribuendo ad alimentare sistemi illusori , pratiche pseudo magiche, terapie delle più varie per esorcizzare la vecchiaia, la malattia, la sofferenza verso la quale l’industria del benessere  consolida il proprio potere con un numero sempre crescente di  proselitismo new age, religione laica socialmente approvata e abbondantemente in vendita in palestre e profumerie, studi medici come supermercati, mercati biologici e cantine.

Ma c’è un altro aspetto che si affaccia alla mia mente in questa riflessione, che  riguarda la negazione degli affetti e la rimozione delle vicissitudini emotive. In un epoca in cui il bisogno di controllo ha raggiunto il suo apice, la vita affettiva così instabile e imprevedibile è tenuta distante e vissuta come fonte di sofferenza dalla quale emanciparsi attraverso l’uso della razionalizzazione ad ogni costo. Ciò rende molto difficili le relazioni e i rapporti sentimentali che continuano a sottrarsi alle regole della ragione e al controllo dell’Io , provocando al contrario ansia e angoscia che molto spesso sfocia nel panico, oggi sempre più frequente soprattutto nei giovani.  Ne conseguono rapporti superficiali ai quali, alla grande maneggevolezza del sesso usa e getta, si accompagna una enorme paura dei sentimenti tenuti a bada dalle nuove forme di comunicazione ( sms e chat) costanti e continui in un eterno restare collegati,  ma che non reggono all’impatto dei conflitti, alla inafferrabilità delle emozioni , alla contraddittorietà delle pulsioni. Un popolo di smarriti, disorientati, impreparati di fronte alle delusioni e alla perdita, non abituati a pensare che la vita  è una continua sfida e un continuo rimettersi in gioco. Il risultato è anche qui la  diffusione della depressione , la ricerca di un rimedio facile ed immediato capace di risolvere i problemi e anestetizzare il dolore.

Per dirla con Jung, più il progresso tecnologico amplia le possibilità di sopravvivenza e più la stessa precipita nell’Ombra. Si moltiplica allora l’uso di psicofarmaci, rimedi alternativi e pratiche spiritualiste che sollevino dalla realtà della sofferenza e dalla perdita che, al di là della conclusione finale, si reitera simbolicamente nella vita di ogni giorno, nei rapporti umani, negli amori e nelle amicizie, così come nella inevitabile trasformazione che il tempo opera in ognuno di noi, nell’invecchiamento, nei fallimenti, insomma in tutte quelle situazioni in cui “il male” rivendica la sua presenza.

Sembra pertanto evidente che il ritrovamento del benessere nella modernità sia strettamente legata alla funzionalità del meccanismo di negazione , che continuando a respingere nell’inconscio la realtà del dolore e della morte, si protegge con ogni mezzo dalla necessità di affrontarla. In questo caso però il meccanismo difensivo risulta “disadattativo” di fronte alla realtà , rendendo più fragili e vulnerabili di fronte alle difficoltà della vita e,  in generale, meno capaci di sostenere gli invitabili momenti  di sofferenza che questa comporta.

Concludo con un passo di Emanuele Severino:

Si incomincia a prestare attenzione all’abissale impotenza della civiltà della potenza. Si incomincia a scoprire la malattia mortale. Ma chi se ne preoccupa? L’Occidente è una nave che affonda, dove tutti ignorano la falla e lavorano assiduamente per rendere sempre più comoda la navigazione, e dove, quindi, non si vuole discutere che di problemi immediati, e si riconosce un senso ai problemi solo se si intravedono le specifiche tecniche risolutorie. Ma la vera salute non sopraggiunge forse perché si è capaci di scoprire la vera malattia? ( Essenza del nichilismo).