martedì 26 maggio 2015

Birdman, Alejandro González Iñárritu 2014


Sarcastico, grottesco, istrionico, potente, Birdman rappresenta in modo paradigmatico la condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo stretto tra i molteplici piani di una realtà confusa con la finzione e di una finzione confusa con la realtà.

Nell’ambiente a tratti claustrofobico di un noto teatro di Broadway , corridoi e camerini, specchi e artifici di ogni genere, Riggan Thompson cerca di emanciparsi dal personaggio del Superuomo che lo ha reso famoso nel cinema hollywdiano degli effetti speciali, per provarsi sul palcoscenico dell’arte drammatica, portando con se’ tutti i pesi del suo narcisistico passato: il mancato rapporto con la figlia, il fallimento del proprio matrimonio, il decadimento della sua fama, il dubbio sulla autenticità del proprio valore. Per far questo ricorre all’adattamento da lui stesso diretto e interpretato di un racconto di Raymond Carver dal titolo “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore”. Titolo che contiene tutto il dilemma esistenziale che lo tormenta.
Inseguito dalla voce del suo personaggio , divenuto ora il suo alter ego, Riggan dovrà confrontarsi non soltanto con l’ attore protagonista, la cui arroganza e competitività cerca di distruggerlo artisticamente ma, e in modo ben più drammatico, confrontarsi con se stesso, con l’immagine nella quale si è sempre identificato per ottenere ammirazione e notorietà , ma che non ha soddisfatto il reale bisogno di essere amato. In questa progressiva quanto sfumata differenziazione tra l’attore e l’uomo , cresce la consapevolezza di essere stato quello che l’Altro voleva che fosse: "Ho solo cercato di essere quello che tu volevi. Ho speso ogni singolo minuto a essere quello che non sono. Solo per essere amato da te".
Nella sequenza ininterrotta tra dialogo interiore e azione scenica , Inarritu inserisce la spietatezza dello sguardo altrui che non nell’essere ma nella performance cerca l’esaltazione del vivere e i valori da celebrare , come la società contemporanea ci induce a cercare, spingendo a credere che nella frammentarietà dei rapporti in rete e nella notorietà attribuitaci dai media si possa trovare ciò che si vuole.
Se la performance di Riggan raggiunge infine il successo e l’applauso cercato, la coscienza della propria alienazione invade disperatamente la scena interna, senza più possibilità di mistificazione nè di compensazione.


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