Questo è la riflessione discussa da me per il ciclo di icontri "Che luogo è l'Anima?"
Come si chiama lo spazio bianco tra realtà e immaginazione? Esiste davvero? Credo che quello spazio sia l'anima delle cose.
H.
Murakami
Nella
introduzione a questi incontri, ho fatto una premessa che certamente
non è stata sufficientemente chiara per evitare equivoci (
sull'anima) e malintesi. La prospettiva che ho scelto per parlare di
anima come luogo, non solo è assolutamente psicologica ma, con ogni
evidenza, simbolica e metaforica. Quando parlo di luogo
non
mi riferisco ad uno spazio fisico, ma a uno spazio simbolico, ad una
metafora . E quando parlo di
anima
sto parlando di psiche, della psiche come sede di tutta la nostra
vita affettiva, emotiva, immaginaria che costituisce la nostra
esperienza dalla nascita alla morte. Quando parliamo di psiche ( o di
anima) ci riferiamo a qualcosa che sta dentro di noi (l'anima
individuale) anche se ognuno di noi è sempre parte di un contesto
sociale, culturale, collettivo, ambientale (l'anima collettiva) cui,
da un lato si appartiene (ci stiamo dentro) e che dall'altro ci
abita ( sta dentro di noi). In questo senso psiche è la nostra
dimora in quanto tutti i nostri accadimenti esterni sono
contemporaneamente eventi psichici (interni) dei quali possiamo avere
maggiore o minore coscienza, ma che si inscrivono in noi, guidando,
condizionando, trascinando le nostre scelte. Dentro di noi infatti è
presente un enorme carico di vicende emozionali che abbiamo non
soltanto vissuto realmente, ma che ci sono state trasmesse,
raccontate, tramandate e che hanno alimentato la nostra immaginazione
e la nostra visione delle cose. Psiche insomma ( o anima) rappresenta
il mondo interiore dell'uomo, un mondo complesso, contraddittorio,
spesso caotico , dove le categorie che ordinano il nostro vivere
quotidiano perdono il loro valore e non ci servono più come
riferimenti certi. Mi riferisco qui a
spazio e
tempo:
determinanti del nostro agire, del nostro pensare, ma che nella vita
psichica assumono tutta un'altra valenza e un'altra dimensione. La
dimensione della
significanza.
Cosa intendo? Quello che per noi ha un senso, un significato, esiste
dentro di noi in modo assoluto anche se ci riporta al passato o a uno
spazio mai vissuto, o ad esperienze solo immaginate. Pertanto nella
nostra vita interiore coesistono presente e passato senza una
distinzione precisa, così come lo spazio risulta essere una
dimensione assolutamente diversa da quella reale e molto più
complessa. Quando parlo di presenza mi riferisco alle esperienze
riguardanti relazioni, eventi, situazioni che pur essendo avvenuti in
altri momenti e in altri luoghi, continuano ad albergare dentro di
noi, come se fossero sempre lì, presentificandosi
nelle situazioni attuali, che siano relazioni affettive, situazioni
sociali, investimenti di ogni genere che del passato mantengono la
gestalt,
la forma, ripetendosi senza posa almeno fino a quando non riusciamo
a trasformarle.
Noi
siamo continuamente portati a vagare tra passato e futuro, spinti
dai ricordi del passato e sospinti verso qualcosa che non è ancora,
mantenendo la ripetizione di un copione che ci intrappola e ci
vincola. Direi che in qualche modo
abitiamo
in un non luogo,
sospesi
tra ciò che è stato e ciò che non è ancora, nel regno immaginale
dei nostri pensieri, delle nostre ambizioni, del nostro desiderio,
delle nostre paure.
In psicologia si parla spesso di qui e ora, l'hic et
nunc dei latini. Espressione antica ma ripresa oggi da molte
discipline, come la meditazione, lo yoga, le arti marziali, la
psicologia. Qui ed ora significa riuscire ad essere presenti
nel preciso momento dell'ora, lasciando andare il
flusso dei pensieri che continuamente ci riportano là ed allora,
Proprio in quel momento l'individuo può essere presente
alla coscienza dell'attimo attuale della sua corporeità , del suo
esserci.
L'esperienza
del “qui-ed-ora” nasce nell’ambito della corrente
fenomenologica, e in particolar modo nella psicologia della Gestalt
che su questo concetto fonda la sua prassi terapeutica. La coscienza
del presente aiuta ad ottenere il cambiamento e condurci finalmente
fuori dalla coazione a ripetere verso la nostra autorealizzazione.
In realtà è una esperienza molto difficile proprio perchè la
nostra mente funziona nel continuo andirivieni di pensieri che si
affollano, che si accavallano, si sovrappongono per cui fermare
l'attimo è un esercizio molto complesso.
Nella
prassi psicoanalitica l'esperienza di
spazio e tempo è invece centrata sull'analisi del passato e sui
sogni che come è noto sono considerati la via
regia per entrare nell'inconscio. In entrambe
queste dimensioni i principi , le caratteristiche, i connotati
ordinari diventano straordinari.
Il mondo onirico infatti, così come la memoria del resto, non
obbedisce alle regole né dei nessi causali di un prima
e di un dopo, né di un qua distinto da un
là. Un modo per accostarsi a questa capacità dell'anima (psiche) è
espressa in modo esemplare dallo scrittore H. Murakami. Scrittore
surrealista, ha scavalcato nei suoi romanzi il confini del
tempo-spazio per
immergersi nella dimensione dell'eterno
presente psichico, passando da un piano
all'altro, tra realtà e immaginazione, senza scomporre i tratti
della storia, ma al contrario portando il lettore nell'interiorità
più profonda, nei recessi più remoti della vicenda e dei suoi
protagonisti ( Dance, dance, dance).
Un'operazione analoga a quella operata in pittura da Salvador Dalì:
il primo
che sia riuscito a trasferire sulla tela i contenuti inconsci della
mente, le pulsioni, gli incubi, le paranoie e i deliri dell’uomo
del Novecento, trasmutandoli in immagini.
Nella
realtà psichica spazio e tempo non esistono.
Dovremmo infatti sapere che il tempo è un arbitrio dell’Io, un’escamotage dell’intelletto che ci consente di vivere la nostra piccola finestra di esistenza, ordinandola e strutturandola in un prima e in un dopo, necessari per collocarci e per collocare le nostre esperienze. Il tempo interiore invece è sempre un incontro di più tempi, è una temporalità fatta di stratificazioni, non sequenze di fatti , ma sovrapposizione di fatti soggettivi, rivissuti in un tempo unico, quello attuale. Possiamo dire che il remoto è nell'attuale. Possiamo pensarla come un temporalità transfenomenica che si costituisce attraverso la memoria e il racconto, e nel quale la presenza di un altrove è coesistente al tempo presente.
Pensiamo a come le nostre esperienze infantili rimangano fissate nella nostra psiche riattualizzandosi continuamente nel tempo presente. Pensiamo a quanto i nostri traumi infantili possano continuare ad agire anche in età matura mascherati magari, ma in fondo inalterati. Continuiamo a proiettare nelle vicende attuali le ferite del passato, le relazioni primarie, le ambizioni fallite, continuamente in cerca di trovarvi una soluzione, una compensazione, insomma una risposta. Ma fino a che non riconosciamo da cosa originano rischiamo di ripetere inconsciamente senza fine (infinitamente) gli stessi comportamenti, o le stesse scelte, andando incontro a nuove frustrazioni, a nuovi fallimenti. Sto parlano delle ferite dell'anima , dei traumi psichici , che rimangono nella nostra psiche pronte a sanguinare ogni qualvolta qualcosa torna a sfiorarle negli accadimenti di oggi, come se il tempo non fosse mai trascorso e il dolore immutato. Si è vero che in terapia si lavora per l' elaborazione delle ferite, per il loro rimarginarsi e divenire cicatrici, evitando che possano ostacolare in modo pesante la vita di ogni giorno, ma quand'anche questo lavoro si compia nel migliore dei modi, nella nostra psiche rimangono sempre presenti, vive, pronte, dolenti. Penso alle perdite, ai lutti, ai fallimenti, tutte quelle situazioni che finiscono con una morte, letterale o simbolica che sia , ma che dentro di noi non muore mai. L'anima pertanto vive in un tempo eterno, e in tal senso è immortale.
Dovremmo infatti sapere che il tempo è un arbitrio dell’Io, un’escamotage dell’intelletto che ci consente di vivere la nostra piccola finestra di esistenza, ordinandola e strutturandola in un prima e in un dopo, necessari per collocarci e per collocare le nostre esperienze. Il tempo interiore invece è sempre un incontro di più tempi, è una temporalità fatta di stratificazioni, non sequenze di fatti , ma sovrapposizione di fatti soggettivi, rivissuti in un tempo unico, quello attuale. Possiamo dire che il remoto è nell'attuale. Possiamo pensarla come un temporalità transfenomenica che si costituisce attraverso la memoria e il racconto, e nel quale la presenza di un altrove è coesistente al tempo presente.
Pensiamo a come le nostre esperienze infantili rimangano fissate nella nostra psiche riattualizzandosi continuamente nel tempo presente. Pensiamo a quanto i nostri traumi infantili possano continuare ad agire anche in età matura mascherati magari, ma in fondo inalterati. Continuiamo a proiettare nelle vicende attuali le ferite del passato, le relazioni primarie, le ambizioni fallite, continuamente in cerca di trovarvi una soluzione, una compensazione, insomma una risposta. Ma fino a che non riconosciamo da cosa originano rischiamo di ripetere inconsciamente senza fine (infinitamente) gli stessi comportamenti, o le stesse scelte, andando incontro a nuove frustrazioni, a nuovi fallimenti. Sto parlano delle ferite dell'anima , dei traumi psichici , che rimangono nella nostra psiche pronte a sanguinare ogni qualvolta qualcosa torna a sfiorarle negli accadimenti di oggi, come se il tempo non fosse mai trascorso e il dolore immutato. Si è vero che in terapia si lavora per l' elaborazione delle ferite, per il loro rimarginarsi e divenire cicatrici, evitando che possano ostacolare in modo pesante la vita di ogni giorno, ma quand'anche questo lavoro si compia nel migliore dei modi, nella nostra psiche rimangono sempre presenti, vive, pronte, dolenti. Penso alle perdite, ai lutti, ai fallimenti, tutte quelle situazioni che finiscono con una morte, letterale o simbolica che sia , ma che dentro di noi non muore mai. L'anima pertanto vive in un tempo eterno, e in tal senso è immortale.
C'è
un'altro punto sul quale voglio riflettere a proposito dell'
infinita presenza che
dimora nella nostra anima. É la pluralità di aspetti, di componenti
o, come nel Sostiene
Pereira
di Tabucchi una
enorme quantità di Io che rendono la
nostra
psiche individuale un insieme infinito di
presenze delle
quali solo uno diventa L'Io egemone. L'uno
, nessuno e centomila
del nostro Pirandello, e il politeismo
dell'anima di
J.Hillman. Questa compresenza di ombre e luci , di aspetti noti e
ignoti, di stanze
sconosciute che nella nostra dimora interiore si aprono o si chiudono
come avviene in molti sogni (ricordo qui alcuni sogni di un mio
giovane paziente), regni sotterranei, cantine oscure, soffitte
inesplorate: tutte immagini della complessità della nostra psiche di
cui conosciamo solo gli aspetti nei quali pretendiamo di
riconoscerci. A tal propositi Freud dice che l'Io
non è padrone a casa sua. E
Jung afferma che l'Io
non è altro che un complesso
della nostra totalità, una nota
a margine
del nostro Sè.
Noi
possiamo essere simultaneamente puer e senex, adulto e bambino,
genitore e figlio, giudice e trasgressore, senza che questo diventi
una contraddizione se sappiamo viverli pacificamente integrandoli
nella nostra coscienza in modo armonico e consapevole. Solo la
negazione o la repressione di alcuni aspetti di noi può divenire un
pericolo per il nostro equilibrio.
L'ultimo punto è
quello che riguarda la psiche collettiva o, se vogliamo, l'essere
in anima: se da un lato ogni individuo contiene dentro di sé
tutto ciò che riguarda la propria esperienza personale, è anche
vero che negli strati più profondi della nostra anima si riflette
l'esperienza collettiva, che pur riferendosi a tempi e luoghi mai
direttamente conosciuti, opera in noi attraverso gli archetipi, gli
universali, che rappresentano il mondo dell'Uomo e dell'Uno, e del
suo sviluppo fin da sempre. Torno a questo proposito un momento a
quello scrittore giapponese che ho già citato e al suo Sotto il
segno della pecora ( una delle prime opere datata 1982). In
questo romanzo direi esoterico si svolge una caccia alla pecora, una
pecora particolare, che altro non è che l'uomo arcaico dentro di
noi. Solo ritrovandolo dentro possiamo renderci conto di
quanto stratificata sia la nostra psiche e come il nostro personale
destino sia il riflesso e la riedizione del destino collettivo e
delle vicende umane nelle quali in ogni tempo e in ogni luogo siamo
fondamentalmente immersi. Lo stesso uomo arcaico è quello che
tornerà in Dance Dance Dance nel sotterraneo buio e polveroso
di un modernissimo albergo (opera già citata). Lo spazio quindi ( o
il luogo) abitato dall'anima è un luogo antico, sconosciuto ma che
facilmente si sovrappone al nostro essere qui, nel mondo che
realmente ci circonda, perchè in quel mondo noi siamo contenuti e
con cui si attiva un rapporto di sincronicità e di
compresenza, che non ha niente a che fare con i principi della
logica, in quanto appartiene ad un altra logica.
Concludo con un
brano tratto da questo scrittore straordinario che come pochi ha
saputo penetrare nel mondo dell'anima, nella realtà psichica:
“In fondo alla
coscienza di ognuno di noi c'è un nucleo che non possiamo percepire.
Nel mio caso si tratta di una città, Una città dove scorre un
fiume, circondata da un alto muro di mattoni. Io vivo lì, anche se
quel posto non l'ho mai visto con i miei occhi. Quindi non so dirti
altro” (H. Murakami La fine del mondo e il paese delle
meraviglie)
Opere citate
J. Hillman Anima Anatomia di una nozione personificata
H.Murakami Dance Dance Dance
H. Murakami Nel segno della pecora
H.Murakami La fine del mondo e il paese delle meraviglie
S.Dalì La persistenza della memoria
S.Dalì La persistenza della memoria
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